La dichiarazione a Westminster del Sottosegretario alla Difesa di Sua Maestà Britannica, la Baronessa Annabel MacNicoll Goldie, riguardo la fornitura di proiettili perforanti all’uranio impoverito sembra aver scatenato polemiche solo da parte del Cremlino in quanto il l’Occidente, detentore dei cosiddetti buoni “Valori”, tace vergognosamente come se, dalla Guerra del Golfo, all’intervento NATO nella ex Jugoslavia, fino all’occupazione dell’Afghanistan, in più di 30 anni di utilizzo di questo tipo di armi, non avesse già avuto prove a sufficienza rispetto alla pericolosità ed alle controindicazioni legate non solo alla nocività arrecata alla salute umana quanto alle terribili ricadute ambientali.
A tal proposito si tenga presente che, nel 2008, a Strasburgo, il Parlamento Europeo, votò una Risoluzione affinché venissero vietate, su scala globale, l’utilizzo delle armi all’uranio impoverito e tale documento prevedeva al:
- Punto 7 di rinnovare l’appello ai “Paesi membri della NATO ad imporre una moratoria sull’uso di armi all’uranio impoverito e a raddoppiare gli sforzi tesi ad un divieto globale nonché a cessare sistematicamente la produzione e l’acquisto di questo tipo di armi”;
- Punto 8 di invitare “Gli Stati membri (dell’UE) e il Consiglio ad assumere un ruolo guida – tramite le Nazioni Unite o attraverso una “coalizione delle persone di buona volontà” – per giungere all’elaborazione di un trattato internazionale che introduca un divieto sullo sviluppo, la produzione, lo stoccaggio, il trasferimento, la sperimentazione e l’uso di armi all’uranio, nonché la distruzione o il riciclaggio delle riserve esistenti, nel caso in cui esistano prove scientifiche conclusive del danno causato da tali armi”.
Chiaramente l’uranio impoverito, essendo stato usato solo dai Paesi NATO – e non avendo questi ultimi mai perso una guerra, o meglio, non essendo mai stati posti sul banco degli imputati – è tuttora nelle disponibilità dei vari arsenali del Patto Atlantico e ci si è ben guardati dal portare a compimento la Risoluzione Comunitaria ”B6-0219/2008” come invece sarebbe stato giusto.
Una volta un vecchio saggio disse che l’uomo è l’animale più pericoloso del creato e, ahimè, mai affermazione fu più veritiera.
Infatti, la scelta di usare questo materiale altamente pericoloso in ambito militare è stato dovuto proprio al desiderio diabolico di distruzione dell’essere umano.
Un tempo le armi erano considerate efficaci tanto più erano capaci di uccidere in maniera rapida il maggior numero di soggetti.
Ad un certo punto, però, gli strateghi compresero che questo era male, ma non certo per considerazioni di carattere umanitario quanto di economia di guerra.
Le più moderne dottrine contemporanee, infatti, non prevedono più di uccidere il maggior numero di nemici nel minor tempo possibile quanto quello di ferirne gravemente il maggior numero possibile per mandare in crisi, da un lato, il sistema sanitario dell’avversario e, dall’altro, far saltare il welfare del nemico.
È, ad esempio, in questo contesto che nascono le cosiddette “mine antiuomo” che hanno lo scopo non di uccidere la vittima ma di mutilarla gravemente così da renderla un “problema ed un peso” per l’avversario.
Immaginate, a tal riguardo, un soldato che ha vent’anni d’età e, che, a seguito di una mina antiuomo, perda entrambe le gambe.
Questi dovrà essere sottoposto ad un importante intervento che ha certamente un costo; Poi resterà in ospedale per un periodo abbastanza lungo che avrà anch’esso un costo; A seguito di ciò bisognerà fornirgli delle protesi e forse un ciclo di riabilitazione sempre a carico dello Stato a cui appartiene; A questo punto si ritroverà inabile al lavoro ed il suo welfare dovrà provvedere a mantenerlo per tutta la vita; Con molta probabilità questa sua disabilità lo porterà ad odiare la propria classe politica che l’ha condotto al macello e possibili tensioni sociali potrebbero innescarsi.
Se al contrario il nostro ipotetico militare ventenne fosse morto subito, cinicamente parlando, il danno per il proprio Stato sarebbe stato minore.
In altri termini, dunque, secondo queste teorie barbare, 1 milione di persone morte immediatamente sarebbero meno dannose di 1 milione di mutilati gravi.
Ed è questa la logica, sottaciuta al grande pubblico, che ha portato l’Occidente, tra il 1990 ed il 1999, a dotarsi di questo tipo di proiettili.
Certo, è vero che l’uranio impoverito – grazie alle proprie caratteristiche di innesco spontaneo e per il solo effetto dell’alta densità, unita alla grande energia cinetica dovuta all’alta velocità – è perfetto per la costruzione di proiettili penetranti tant’è che una munizione di questo tipo da 5 kg, sparata da un carro armato avente una bocca da fuoco da 120 mm, ha uno slancio tale da poter rompere l’armatura massiccia di qualsiasi tank, ma è altresì vero che con un proiettile al tungsteno monocristallino si otterrebbe lo stesso risultato, solo quest’ultimo costerebbe molto di più e non avrebbe gli effetti nefasti che invece può garantire l’uranio impoverito.
Una volta esploso attraverso l’armatura, infatti, la punta dell’uranio si disintegra per via del calore creato, circa 3000°C, e le pericolose particelle iniziano a bruciare polverizzandosi e depositandosi per tutta l’area circostante con gravi rischi sia per le persone che per gli animali.
Infatti oltre al rischio di avvelenamento da metalli pesanti, se l’uranio impoverito viene inalato, il metallo radioattivo si deposita nei polmoni e in altri organi causando diversi tipi di cancro, dai linfomi di Hodgkin alle leucemie.
Secondo alcuni studi condotti in Germania, poi, le molecole di uranio impoverito sono in grado di viaggiare in ogni parte del corpo, compresi lo sperma e le uova, cosa che aumenta la probabilità di cancro e danni ai geni, causando forme di malformazione nei figli delle persone che sono state a contatto con queste micro polveri causando così, alla lunga, un danno economico, sociale e sanitario enorme al nemico, di gran lunga superiore a qualsiasi mina antiuomo.
Peccato però, e questo è sottaciuto più delle controindicazioni agli avversari, che a farne le spese, se pur in proporzione inferiore siano anche i militari che usano queste armi perché già nelle fasi di lancio delle particelle si liberano nell’etere.
Lo sanno bene i nostri militari che a seguito della loro partecipazione a diverse cosiddette “Missioni di Pace” si sono ammalati riscontrando l’insorgere di gravissime patologie neoplastiche.
Come non dimenticare allora:
- Il Caporal Maggiore Alpino Luigi Sorrentino che è stato in missione in Kosovo, Albania ed Afghanistan e che a seguito di queste operazioni si è gravemente ammalato di cancro. Aveva intentato una causa per ragioni di servizio contro il Ministero della Difesa “affinché qualcuno riconoscesse i propri errori” e preso dallo sconforto per essersi scontrato contro un muro di gomma si è tolto la vita nel 2018;
- Il Maresciallo dell’Esercito Marco Diana, morto, dopo atroci sofferenze, all’età di 50 anni. Aveva partecipato alle missioni in Somalia e Kosovo;
- Il Maresciallo dell’Esercito Alberto Sanna, ucciso a 65 anni da una leucemia mieloide cronica aveva partecipato a diverse missioni nei Balcani;
- Il Sottocapo della Marina Militare Lorenzo Motta, che – dopo aver partecipato in tre anni a tutte le più importanti missioni all’estero della Marina: Grecia, Turchia, Gibilterra, Golfo Persico, Marocco, Afghanistan, operazioni antiterrorismo e antipirateria, dove si faceva uso di uranio impoverito nelle munizioni anticarro e nelle corazzature di alcuni sistemi di armamenti – all’età di 24 anni, nel luglio 2005, ha scoperto di avere il linfoma di Hodgkin.
Giusto per citarne alcuni perché, ahimè, la lista potrebbe essere veramente lunghissima visto che,nella sola Italia, i militari colpiti da patologie legate alla cosiddetta “Sindrome dei Balcani” sono quasi 8mila e di questi, più di 375, sono già deceduti.
Una vera e propria strage della quale è certamente a conoscenza anche l’attuale Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che, durante i Governi D’Alema e Amato (1999-2001), rivestì l’importante ruolo di Ministro della Difesa e che, come ha ricordato Lorenzo Sani, giornalista e inviato nazionale del Resto del Carlino-Nazione-Giorno, all’epoca dei fatti negava “a più riprese il possibile nesso tra l’insorgere delle patologie e il servizio. Negò che la Nato avesse mai utilizzato proiettili all’uranio impoverito (DU, Depleted Uranium), tantomeno che questo fosse contenuto nei Tomahawk (missili) sparati in zona di guerra dalle navi Usa in Adriatico. Insomma, Mattarella, candidato di Renzi al Quirinale, negò su tutta la linea … Negò pure – ricorda Sani – ciò che era possibile reperire nei primi giorni di internet sugli stessi siti della Difesa Usa, che magnificava l’efficacia degli armamenti al DU e dettava, contestualmente, le precauzioni sanitarie da adottare in caso di bonifica: protocolli di sicurezza molto rigidi, che prevedevano l’utilizzo di tute, guanti e maschere protettive, per svolgere il lavoro che invece a mani nude e senza protezioni facevano i nostri soldati. I quali, nel frattempo, continuavano ad ammalarsi e morire…”
Dunque, se malauguratamente i soldati ucraini dovessero sparare i britannici “Charm1” e “Charm3”, così si chiamano i proiettili all’uranio impoverito in dotazione ai carri “Challanger” in arrivo in quel di Kiev, a pagarne le conseguenze non sarebbero solo i militari russi ma soprattutto gli ucraini perché le micro polveri attaccherebbero prima gli uomini e poi si fisserebbero al terreno mandando in malora tutta la catena alimentare e l’eco sistema.
Già questo sfortunato Paese ha dovuto subire l’emergenza di Chernobyl, ora, grazie agli inglesi, potrebbe vivere in una lenta agonia che durerebbe intere generazioni.
Pertanto, a nostro modo di vedere, è compito precipuo dell’Italia e di tutti gli altri partner occidentali, far desistere la Gran Bretagna da una simile fornitura perché non solo sarebbe contro ogni prospettiva di pace ma potrebbe causare danni incalcolabili sia sotto il profilo economico, che umano, in quella data parte del mondo.
Lorenzo Valloreja